Nuova Zelanda, grandi vini in arrivo..

Pubblicato: 25 giugno 2011 in Il Vino in Viaggio

Esistono dei luoghi al Mondo in cui i doni di Dio hanno un sapore diverso..  dove la natura fertile e rigogliosa sembra aver trovato un compromesso con l’uomo, dei luoghi in cui le piante appaiono in grado di udire le preghiere di chi coltiva. Uno di quei luoghi è senz’alcun dubbio la Nuova Zelanda. Isola dimenticata al confine tra l’Oceano Pacifico ed il Mare di Tasman in grado di trasmettere ai suoi frutti il fascino della sua latitudine.

Non è certo che il Creatore adoperasse un pennello per le sue opere, ma se un indizio esiste, beh, questo è la terra dei Maori.. bella come nessuna landa al mondo, piena della sua solitudine, perfettamente abbandonata a sé stessa.. ineguagliabile connubio di coste, pendii e spazi piani.

In questi scenari, giovani e arditi coltivatori hanno iniziato da poco più di un trentennio a dedicarsi seriamente alla vite.

L’inizio non fu semplice, in quanto caratterizzato da un decennio speso ad esitare sull’opportunità di vinificare una Süssreserve di Müller-Thurgau.. ma poi le cose iniziarono a cambiare a partire dagli anni ’90.

Così, sebbene gappati dalla giovane età in termini di storia enologica, nonché dall’interesse volto per troppo tempo esclusivamente ai vitigni più quotati (Chardonnay, Riesling, Cabernet, Pinot Nero), i neozelandesi hanno mostrato, da alcuni anni, di aver maturato l’esperienza sufficiente per puntare, finalmente, su di un vitigno estremamente indicato per loro terra, il Sauvignon Blanc,  marginalizzando al contempo gli altri uvaggi internazionali, ed accantonando definitivamente l’idea di riprodurre in patria una piccola Francia d’oltreoceano.  

Due strade distinte, due filosofie di vigna, tanti vini.. Se si parla di Nuova Zelanda, occorre distinguere tra i produttori che si dedicano ancora ai “vini col passaporto” da quelli che, invece, hanno deciso di concentrarsi sul Sauvignon Blanc. Ma tale distinguo, oramai, non conduce a risultati di assoluta incomparabilità, in quanto l’incremento qualitativo dei vini degli ultimi 15 anni ha interessato la quasi totalità delle produzioni.

E’ stato grazie alla zelante opera di promettenti aziende, capitanate spesso da enologi giovanissimi, che la qualità media dei vini neozelandesi ha conosciuto uno scatto verso l’alto degno di nota. Oggi i rossi non sono più estremamente erbacei ed i bianchi non sembrano più fatti seguendo una ricetta. Una seria opera di personalizzazione, accompagnata da un più accurato studio sulla vigna, ha iniziato a partorire bottiglie di tutto rispetto. E’ il caso del Riesling di Palliser Estate a Martinborough, o della gamma di Craggy Range e del suo enologo Doug Wisor a Hawke’s Bay, ma anche del Pinot Noir di Akarua nel Central Otago.

Coloro i quali, poi, intendessero spingersi oltre le degustazioni di Chardonnay e Pinot Nero (tutte squisitamente semplici e accompagnate da una spensieratezza oramai sparita nel nostro emisfero), potrebbero rimanere esterrefatti. Imbattersi in un saggio di un Sauvignon Blanc neozelandese, infatti, equivale letteralmente a cadere dalle nuvole. Non è un caso, dunque, che ben 5500 ettaridi vigneti di questa terra siano destinati a tale uva. Dal clone UCD1 dell’università di Davis, California, con l’aiuto di una terra generosa (argilla, sabbia, sottosuolo vulcanico) e di un clima perfetto per tale uvaggio (fresco, ventilato,  soleggiato), alcuni produttori riescono a tirar via un vino ultrafresco, equilibrato e straordinariamente intenso al frutto, da bere (salvo che non si sia disposti a perdere le note di maracuja e pompelmo) entro due anni dall’imbottigliamento. Il massimo dell’espressività si ottiene nel regioni vinicole di Marlborough e Martinborough, due lembi di terra appartenenti rispettivamente all’isola del sud e del nord, divise da un’unghia di oceano (lo stretto di Cook) e meravigliosamente poste l’una di fronte all’altra, in cui aziende come Hunter’s, NGA Waka Vineyard, Saint Clair e Claudy Bay sembrano, per ora, farla da padrone..

Un’ultima parola merita d’esser spesa per segnalare il crescente interesse sviluppatosi intorno ai vini botritizzati. La presenza di vitigni come il Riesling, lo Chardonnay ed il Sémillon, infatti, ha reso possibile lo sviluppo di tale vino, che lungi dall’essere inteso “da meditazione” da una popolazione di spensierati, è invece il segno più evidente del peccato originale di ogni essere umano di origine britannica, ovvero la passione, per nulla celata, per le bevande dolci.

In principio fu il sidro potremmo dire.. i più maliziosi potrebbero invece rivedere, nella nuova tendenza verso questi sweet-wines, il riemergere dei peccati “giovanili” degli anni ’80 (vedi Süssreserve di Müller-Thurgau), ma la realtà è differente. Il tempo del miele è finito, i Kiwi ora fanno sul serio, ne passerà ancora un po’ di tempo, ma dall’altra parte del Mondo vanno veramente veloci.

Prepariamoci tutti dunque, l’alternativa alla Francia c’è, un altro mondo è possibile..

Mauro Illiano (Enone Oneno)

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